domenica 9 marzo 2008

Compliance is the illness. Not compliance is the safe.

La cultura fissa dei limiti e ogni cultura particolare fissa i propri limiti specifici. Ma che cosa si delimita? Utilizzerò la metafora della casa. La cultura è simile a una casa. All'interno della casa la gente si sente protetta dai muri, dal tetto e da altri confini che salvaguardano da sensazioni indesiderate. Nello stesso tempo gli spazi chiusi all'interno rappresentano un modo per amplificare le sensazioni che la gente vuole provare, come il calore di un camino o di contatti umani più intimi, il profumo di un piatto ben cucinato o la visione di un albero fiorito nell'atmosfera raccolta del cortile.
Le culture si differenziano per rigidità e nitidezza dei propri confini. La metafora della casa mi viene ancora in aiuto. Il cortile interno, comune a diverse civiltà fin dai tempi antichi, oppone al mondo esterno alte mura prive di finestre. Molte abitazioni e molti complessi residenziali tradizionali fanno una netta distinzione tra esterno e interno, facendo risaltare la loro funzione di rifugio. Al contrario, una casa moderna con ampie finestre panoramiche, porte scorrevoli di vetro, verande che danno su prati erbosi privi di recinzione, rammenta quasi in ogni istante agli occupanti l'esistenza di un mondo più ampio.
Ovviamente esistono anche culture che non hanno abitazioni o spazi appartati, ma come tutte le comunità anche queste sono dotate di codici e costruzioni morali che si adattano a questa metafora spaziale. I codici morali si differenziano quanto a rigidità, le costruzioni morali quanto a dimensioni, suddivisioni e gradi di apertura. Comunque, la loro fondamentale ragion d'essere è di definire e delimitare, di proteggere e accudire, in base al principio della reclusione.
L'ambivalenza culturale che permea mura e case sta appunto qui: le mura, che si propongono di tenere fuori i pericoli, finiscono per rinchiudere la gente all'interno, e le case, che rappresentano un rifugio sicuro, rischiano di trasformarsi in prigioni.
Come dicevo, ogni cultura particolare fissa i propri limiti specifici... facendoci anche credere e dire che ad un certo punto della nostra esistenza non sia più possibile migliorarsi, crescere, evolvere, magari per "raggiunta età" o per via di un certo passato turbolento o disonesto.
Credo nella continua e fattibile evoluzione dell'essere, in quanto essere vulnerabile e quindi bisognoso di migliorare se stesso e lo spazio in cui vive.
Certo, è un lavoro.
Difficile.
Richiede sforzo continuo.
E volontà.
E non ha una fine. Perchè un processo di crescita personale, per definizione, non finisce.
Ma il solo fatto di tentare ogni giorno questa esplorazione, è già una ricompensa.
Buon viaggio,
Franca

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