sabato 16 febbraio 2008

I ciechi e l'elefante

Vi era in Persia una città i cui abitanti erano tutti ciechi.
Venne a passarvi un re con il suo esercito e vi piantò le tende. A fare pompa del suo prestigio, metteva in mostra un grosso e imponente elefante.
Alla gente del posto venne il desiderio di conoscere quanto il re aveva messo in mostra.
E molti di quei ciechi si recarono dall'elefante, per rendersi conto, alla maniera degli orbi, della sua forma e figura.
E non potendolo vedere con gli occhi, lo palpavano con le mani.
Chi gli toccò una parte, chi un'altra, e così ognuno ne conobbe soltanto un pezzo.
E ognuno se ne formò un'idea, ognuno legò la sua mente a un'immagine fantastica.
Quello la cui mano era caduta sull'orecchio, interrogato dagli altri intorno all'elefante, disse: "E' una forma paurosa, ruvida e larga come un tappeto".
Quello che con la mano aveva raggiunto la proboscide disse: "L'ho conosciuto bene. E' come un tubo vuoto, una cosa terribile, uno strumento di distruzione".
Colui infine che aveva toccato le massicce e formidabili gambe dell'elefante, disse: "Ha precisamente la forma di una colonna ben tornita".
Tutti avevano visto una sola parte e tutti avevano visto male.
(fiaba persiana)
Succede anche a noi "vedenti": molti degli aspetti - positivi e negativi - che ci formano e ci appartengono si nascondono alla nostra vista (o la nostra vista è così limitata..... ?).
Che fare dunque?
"Essere" "svegli".
"Essere" "presenti in presenza di sè" (non è un gioco di parole ma può diventarlo, se aiuta nell'intento).

Buon Lavoro,
Franca

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